Definizione e tipi di terminalità
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Andiamo ad analizzare i motivi per cui si attribuisce al feto l’aggettivo “terminale” che lo porta ad una “incompatibilità con la vita”.
Esistono patologie fetali, diagnosticate prima della nascita, che non permettono la sopravvivenza del feto per tutta la durata della gestazione o una vita a lungo termine del neonato a causa di anomalie metaboliche e malformative. Tra di esse troviamo le trisomie 13 e 18, l’anencefalia, l’agenesia renale bilaterale, la displasia renale bilaterale precoce, le triploidie e le forme di nanismo tanatoforo. Tutte le altre, che vengono lo stesso incorporate nell’accezione di malattie “incompatibili con la vita”, invece possono essere trattate sia in utero sia dopo la nascita.
Perciò come scrive il Prof. Noia nel suo libro “Terapie fetali” occorre considerare un feto “terminale” quando “la sua condizione sul piano anatomico-strutturale o sul piano genetico-cromosomico è incompatibile con la vita e porterà ad una prognosi sicuramente negativa con un exitus prenatale o neonatale”. [1]
Si può classificare la condizione di terminalità in tre gruppi:
1) Feti definiti “terminali” solo sulla base di una mancata conoscenza scientifica;
2) Feti considerati terminali sulla base di una storia naturale che, per la loro intrinseca patologia, porta ad un exitus sicuro prenatale o perinatale, se non si interviene con procedure di terapia fetale invasiva o non invasiva;
3) Condizioni di feti incompatibili con la vita a causa di anomalie cromosomiche e strutturali come triploidie, trisomie 13 e 18, forme di nanismo tanatoforo, agenesie renali bilaterali, anencefalie e displasie renali bilaterali precoci.
Il primo gruppo comprende una condizione di terminalità attribuita sia dalla mentalità della società attuale, sia da molti ricercatori ed operatori nel campo socio sanitario che non riescono ad informare adeguatamente le coppie di genitori a causa dell’utilizzo di dati non aggiornati.
Al primo accenno riguardo una minima probabilità che il feto possa essere affetto da qualche patologia, i genitori cadono in stati di ansia e confusione che, spesso, sfociano nel rifiuto di un bambino presentato come “terminale” ma nella maggior parte dei casi sano o che presenta una patologia mal formativa non grave su cui si può intervenire prima o dopo la nascita.
Un esempio eclatante è rappresentato dalle malattie infettive contratte durate la gravidanza. Infatti, in molti di questi casi, vengono considerati terminali dei feti in realtà sani perché non si conoscono le percentuali di trasmissione verticale dalla madre al feto in base al trimestre della gravidanza in cui viene contratta l’infezione e non si valutano attentamente i follow-up a distanza …
Nel secondo gruppo sono compresi i feti definiti terminali perché affetti da patologie come: gravi anemie fetali da isoimmunizzazione-Rh, idropi fetali non immuni, uropatie ostruttive gravi con megavescica, rottura intempestiva delle membrane del II trimestre, difetti del tubo neurale, emoglobinopatie e forme di tachiaritmia fetale grave trattabile attraverso la somministrazione materna-transplacentare di farmaci antiaritmici.
L’ Hospice Perinatale per la Tutela della Salute della Donna e della Vita Nascente del Policlinico Gemelli ha offerto e offre una serie di interventi diagnostici e terapeutici, non accessibili a livello ambulatoriale, che permettono di effettuare un trattamento invasivo per migliorare o risolvere le patologie sovra elencate. Vengono utilizzate le trasfusioni intrautero per la cura delle isoimmunizzazioni-Rh e le piastrinopenie, le amnioinfusioni per la rottura intempestiva delle membrane del II trimestre, le amnioriduzioni per il poliamnios, le paracentesi e le toracentesi per l’idrope non immune e la trasfusione feto-fetale e le vescicocentesi, le pielocentesi e gli shunt per le patologie urinarie ostruttive.
I 30 anni di esperienza, 8000 procedure, maturata dal Dipartimento per la Tutela della Salute della Donna e della Vita Nascente, attraverso l’utilizzo di questi tipi di approcci invasivi, hanno portato ad un rilevante incremento della sopravvivenza fetale (60%).
Il terzo gruppo comprende i feti intrinsecamente terminali a causa delle patologie già elencate che li rendono incompatibili con la vita.
In questi casi la scienza e la medicina fetale si arrendono, in quanto non è possibile attuare nessun tipo di intervento per salvare queste piccole vite.
Di fronte all’impossibilità di attuare un piano terapeutico viene offerta la strada dell’interruzione di gravidanza. Ci si sente impotenti e si pensa che, terminando la gravidanza, si risolveranno tutti i problemi.
Se fosse così perché ci sono genitori che, nonostante siano a conoscenza che il loro bambino è destinato alla morte prima di nascere od ad una vita molto breve, scelgono di non interrompere la gravidanza?
Ciò su cui bisogna riflettere, è il fatto che ai genitori nessuno può sottrarre la percezione del loro figlio. Non esiste scienza che dimostri che quella vita non serve a niente, non esiste alcun esame medico che dica quanto durerà quella vita.
È per questi motivi che i genitori decidono di accompagnare il loro figlio, accogliendolo ed amandolo fino in fondo dall’inizio della gravidanza.
Ed è proprio dalla volontà di questi genitori e dal desiderio di alcuni operatori sanitari di accogliere le loro richieste, che nasce la realtà dell’Hospice Perinatale ed il percorso della Comfort Care Neonatale.
Tratto da : “L’Ostetrica e l’Hospice Perinatale: una proposta di collaborazione tra le due realtà a sostegno delle famiglie”(2015), di Botta Alessia. Tesi di laurea in Ostetricia. Università Politecnica delle Marche. Facoltà di Medicina e Chirurgia. Con la supervisione del Prof. Giuseppe Noia.
[1] Noia G., Counselling e storia naturale delle malformazioni in Noia G. Terapie fetali, Poletto Editore, 2009, San Giuliano Milanese, 1-12.
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