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Il Feto Medico della Madre

Il Feto Medico della Madre

 

Il mistero della nostra esistenza, degli esseri umani, della loro carne e del loro pensiero, della intelligenza e del loro spirito rimane come un oceano insondabile. Più cresce l’entità delle nostre conoscenze più aumenta l’area delle nostre non conoscenze e l’universo della bellezza della vita umana rimane, col passare dei secoli, un oceano sempre più vasto di conoscenze ma soprattutto un quadro meraviglioso da contemplare.

Il vero bing bang esistenziale, come alcuni autori hanno già fatto notare, è il concepimento di un nuovo essere umano: è in quel momento che s’intrecciano i fili della genetica con i fili della provvidenza creatrice di Dio. È in quel momento che ogni vita riceve l’imprinting della sua evoluzione cellulare (da uno zigote miliardi e miliardi di cellule) ma anche delle sue basi che costruiscono, passo dopo passo, l’intelligenza, la fantasia, la razionalità e la capacità di amare e di essere amati.

La cultura del nostro tempo è troppo distratta da tante cose per educare gli occhi alla contemplazione del miracolo della vita e quindi viaggia molto spesso nella inconsapevolezza del valore. Pensare che un figlio così fragile , così piccolo, così debole possa dare la vita alla madre è una realtà che rasenta il paradosso ma è proprio così: il figlio è medico della madre e la scienza medica, prenatale e la biologia della procreazione riporta molti esempi di cura sul piano biologico e clinico di affezioni materne del fegato e della tiroide “curate” dalle cellule staminali ”guaritrici” del figlio che erano passate attraverso la placenta in direzione materna e dopo “transdifferenzzazione” (si erano trasformate sul tessuto da curare) si erano portate nei tessuti malati per operare una rigenerazione.

La cosa ancora più sorprendente però è che la cura del figlio verso la madre avviene anche sul piano psicologico, quel piano cioè di complessità relazionale che tocca la psiche di un essere adulto (la madre) con la competenza di un altro essere (l’embrione, il feto) fortemente immaturo, piccolo, ma adatto, sembrerebbe dalle evidenze degli studi analitici, a rivestire un ruolo psicoterapeutico e di percorso “guarigione” verso la madre, scientificamente dimostrati dalla storia naturale e il lungo follow up. Sicuramente, come accennavo prima, i canali biologici e psicologici non sono del tutto conosciuti ma la dimostrazione delle evidenze e delle conseguenze che dimostrano che esistono e funzionano lo vediamo dai frutti: percorsi di “empatia” percettiva tra figlio e madre sin da subito sono molto noti . Mi riferisco alla capacità della madre di riconoscere la presenza del figlio prima del test di gravidanza (capacità diagnostica del 100%), di dire esattamente se la gravidanza è singola o gemellare (37 casi personalmente seguiti), di indovinare il sesso del proprio bambino nell’88% dei casi, prima di fare l’ecografia e/o l’amniocentesi. Inoltre, se confrontiamo un gruppo di quelle mamme (50 mamme) che hanno una giusta preveggenza del sesso del proprio figlio (88%) con un gruppo di mamme (50 mamme) che sbagliano la predizione del sesso e/o sono incerte (12%) e le seguiamo sino al parto e al post-parto abbiamo dimostrano che la gravità del maternity blues (una sorta di lieve depressione che ha il 40% delle donne che partoriscono) è maggiore nelle donne che sbagliavano la predizione del sesso rispetto a quelle che lo azzeccavano, confermando che il legame di empatia percettiva protegge le mamme anche contro i fenomeni depressivi, anche se blandi, del post-partum. Questa “generosità” percettiva si sposa con tutto il mondo della maturazione sensoriale e della collaborazione simbiotica tra embrione e madre al punto che il “cross talk” pre-impianto non avviene adeguatamente (per malattie o disfunzioni ormonali, generali e locali) negli 8 giorni che precedono l’impianto, il destino biologico di molte gravidanze resta già segnato al punto che questi 8 giorni prima dell’impianto saranno importanti per l’infanzia, l’adolescenza e la vita adulta futura. Questa simbiosi quindi viaggia con tempi gestazionali biunivoci: quando il figlio ha bisogno, la madre provvede e viceversa come si può notare nell’altra importante collaborazione che la diade madre-figlio opera attraverso l’unità feto placentare finalizzata a completare la costruzione delle funzioni nutritive e ossigenative della placenta. Queste conoscenze si pongono su un crinale di responsabilità psico sociale e antropologica oltre che scientifica perché hanno il coraggio di portare alla luce evidenze che tutti osservano ma che, stranamente, pochi valorizzano. Il fine? Il pregio di questi studi, al di là di qualsiasi piccolo o grande riconoscimento che viene loro tributato, consiste nel far guardare la persona umana e la relazione madre-figlio con maggiore responsabilità e onestà intellettuale. Ha l’onere di chiarire quali siano veramente gli attacchi alla salute psicologica delle donne senza indicare con l’indice dell’accusa ma fornendo evidenze affinchè le ragioni della ragione scientifica , etica, psicologica possano prevalere e rendere consapevoli. E’ un pabulum  ideale dove diversi modi di “sentire” possono confrontarsi, senza ideologismi, ma soltanto sulle evidenze.

Il terreno è molto delicato ma per questo deve essere affrontato. Infatti, nell’emergenza “depressiva” che sempre più frequentemente colpisce le donne, il vissuto femminile dinanzi al figlio cercato, voluto, sognato, realmente rifiutato molte volte, ma sempre amato, anche declinando forte atteggiamento di contraddizione e sofferenza, rimane uno dei problemi delle ferite e delle gioie del mondo procreativo e dell’esistenza della donna, arca privilegiata per salvare il mondo dal diluvio della indifferenza e della disumanità.

 

Giuseppe Noia

Pubblicato su "Avvenire" del 3 Novembre 2016

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