Idrocefalia
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Si sente dire:
“I bambini con idrocefalia sono larve umane”
Anche questa affermazione non è vera. Essa derivava dal fatto che, con l’avvento dell’ecografia (50 anni fa), la visualizzazione di una condizione di idrocefalia, che consiste in un aumento patologico di liquido all’interno dei ventricoli celebrali, non era considerata curabile. Con il passare dei decenni si è dimostrato, invece, quello che il neurochirurgo Lorber affermava nel 1968: “anche il grado più estremo di idrocefalia è compatibile con uno sviluppo fisico normale, con normali dimensioni craniche e normale sviluppo intellettivo se il trattamento post-natale non viene rimandato”.
Nell’esperienza del gruppo dell’Hospice Perinatale del Policlinico Gemelli di Roma (ginecologi, neurochirurghi infantili, neonatologi e neuropsichiatri infantili) già nel 1990, venivano presentati a Londra i primi dati sul trattamento della idrocefalia con un follow up [1] fino a 9 anni dopo la nascita, da cui si evinceva che il 70,7% di questi bambini avevano un’evoluzione normale o con lieve ritardo (Tab.1). Negli anni successivi i risultati sono stati confermati e, per certi aspetti migliorati, dalla casistica del gruppo interdisciplinare del Policlinico Gemelli. Per le ventricolomegalie (dilatazione dei ventricoli cerebrali) fino a 15mm la percentuale di buon esito è salita all’82% e per quelle con dilatazione superiore ai 15mm al 58%. Nell’ultima presentazione dei dati, i risultati sono passati al 90,7%, per le dilatazioni sotto i 15mm, e 65,9% per quelle sopra i 15mm (Tab.2).
Un ulteriore dato che apre finestre di speranza nella consulenza è stata l’evidenza che, in 151 bambini con idrocefalia (di cui 106 seguiti con controlli ecografici ripetuti ogni 3/4 settimane), nel 43,8% dei casi la dilatazione dei ventricoli celebrali si risolveva spontaneamente andando progressivamente diminuendo, con nascita di bambini perfettamente normali.
La conclusione è che l’idrocefalia nelle forme leggere (dilatazione meno di 15mm) ha un tasso di evoluzione positiva alto e si può addirittura verificare un’inversione del processo espansivo con ritorno alla normalità (43,8%); e anche nelle forme ostruttive reali, quelle più gravi con dilatazione maggiore di 15mm, abbiamo una percentuale di buona evoluzione in quasi il 66% dei casi.
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