Menu

     

Il feto “fallato”

Il feto “fallato”

 

L’espressione “feto fallato” è stata usata dal giornalista Mario Adinolfi nel suo intervento alla 5° Edizione della Festa diocesana della Famiglia tenutasi il 13 settembre 2015 a San Cesareo (RM).

L’uso di questi due termini, nonostante al primo impatto potrebbero risultare troppo diretti ed andare ad intaccare la sensibilità delle persone che hanno vissuto questo tipo di esperienze, è utilizzato dal giornalista in modo provocatorio per mostrare come appare alla società odierna il feto malato.

Infatti, oggigiorno si attribuisce l’aggettivo “fallato” ad un oggetto difettoso, che non funziona e che, perciò, ha tutte le carte in regola per essere gettato via. Questa immagine cruda e quest’espressione schietta fanno molto riflettere perché il fatto che il feto sia “difettoso” e che abbia “qualcosa che non va” non gli nega il diritto alla vita e, a maggior ragione, non deve obbligare i suoi genitori a rifiutarlo.

Essi hanno cominciato ad amare il loro figlio prima che sapessero che questo nuovo progetto avesse già preso vita: per loro quel feto, maschio o femmina, malformato o non, rimane sempre il LORO FIGLIO.      

Nei casi in cui i genitori si trovano ad affrontare la prognosi infausta della gravidanza e l’unica alternativa che viene offerta loro è l’aborto eugenetico (il cosiddetto aborto terapeutico), ci si trova di fronte a situazioni drammatiche.

La progettualità genitoriale viene intaccata, tutto ciò che avevano costruito viene distrutto, tutto l’amore e l’attenzione che avevano investito per quella nuova vita non viene capito dal personale sanitario con la conseguenza che la coppia si sente violata, non compresa e non riesce ad accettare la visione del loro figlio come qualcosa che “non ha senso”.

In gravidanza la percezione del figlio si basa su due livelli: quello biologico-sensoriale e quello psicologico-spirituale.

Il piano biologico-sensoriale è quello conosciuto da tutti. Infatti, a partire dalle sei settimane circa, attraverso l’uso di una sonda ecografica endovaginale, è possibile visualizzare l’embrione e la camera gestazionale e sentire il suono del suo battito cardiaco. È evidente, inoltre, che questo tipo di percezione avvenga secondo un criterio di gradualità proporzionale all’evoluzione anatomica e fisiologica del bambino nell’utero.

La percezione sul piano psicologico spirituale, invece, è istantanea e segue la legge del “tutto o niente”. Si assiste in questo caso a quello che la scienza chiama cross talk, cioè dialogo incrociato, processo secondo cui negli otto giorni successivi al concepimento, l’embrione fa percepire alla madre la sua presenza attraverso i mediatori della comunicazione materno-fetale.

Un esempio della capacità di percepire il proprio figlio da parte della donna, riguarda le donne che perdono il loro bambino per un aborto spontaneo. Nonostante si cerca di rassicurarle dicendo loro che ci saranno altre gravidanze, la reazione delle donne è quasi sempre la stessa perché affrontano un momento di sofferenza per la perdita del proprio figlio, nessuna ne parla come un embrione di sei o sette millimetri. Il dolore che provano e che vivono si riferisce alla presenza del bambino, non alle dimensioni del feto.

Un’altra esemplificazione della percezione della presenza del figlio che fa riflettere molto è anche quella delle gravidanze in donne affette da anoressia. Infatti queste madri, oltre che vivere il rifiuto del cibo, vivono anche il rifiuto del proprio bambino che si somatizza in un vomito persistente e “maligno”. Il vomito rappresenta l’espressione  più palese del rifiuto e della non accettazione di quella gravidanza. Inoltre, questo disturbo, che normalmente si aggrava nel corso di questo tipo di gravidanze, sta a dimostrare quanto sia importante la percezione psicologico-sensoriale da parte della madre: infatti, se essa seguisse un criterio di gradualità, il massimo del rifiuto si avrebbe a termine della gestazione, non a partire dalle prime settimane.

Oltre alla presenza, le madri sono capaci di percepire, prima dell’ecografo, anche il sesso ed il numero dei loro figli. Particolare è il racconto del Prof. Noia che nel 1992 durante la sua esperienza lavorativa, ebbe un colloquio con una donna che gli riferiva non solo di essere in gravidanza senza aver eseguito alcun tipo di esame, ma anche di sentire che questa volta si trattava di una gravidanza gemellare, semplicemente perché si sentiva diversa rispetto alle precedenti gravidanze.

Dopo questo caso, al contempo singolare ed eccezionale, al Professore ne sono capitati altri 32, tutte autodiagnosi di gravidanza gemellare senza aver subito stimolazioni e senza aver avuto casi di gemellarità in famiglia.

Oggi con i progressi della medicina diagnostica prenatale si è sempre in cerca di anticipare i test invasivi eseguendo la villocentesi  invece che l’amniocentesi, utilizzando il bitest al posto del tritest o prendendo in esame la traslucenza nucale invece dei soft markers dopo la 13 settimana, con la speranza che minore sia il numero delle settimane, minore sia il trauma per la donna (“criterio di proporzionalità traumatica”).

Da quanto affermato precedentemente si può dedurre che, nonostante l’anticipazione dei test diagnostici prenatali e la possibilità di interrompere la percezione biologico-sensitiva, non esiste alcun metodo per ritardare od eliminare la percezione psicologico-spirituale del figlio.

Un’ulteriore dimostrazione di quanto affermato sopra, riguarda il fatto che il tempo di elaborazione del lutto dopo un aborto spontaneo precoce (8-9 settimane) equivale a quello dell’elaborazione del lutto in donne che hanno perso il proprio marito.

In conclusione, il concetto di “feto fallato” può essere confrontato con quella che il Prof. Noia ha ribattezzato come “sindrome del feto perfetto” in quanto sua conseguenza. Infatti questa sindrome, che non va assolutamente intesa nel significato scientifico del termine, è espressione di una società che pone più attenzione al concetto di qualità della vita piuttosto che a quello della sua sacralità.

La tendenza del presente è quella di praticare una medicina selettiva nei confronti di quei feti la cui vita è considerata “senza senso” a causa di ignoranza e disinformazione, invece di concentrarsi sulla diffusione della medicina preventiva il cui scopo è cercare di prevenire la causa delle malformazioni e non di proporre solo l’opzione dell’aborto terapeutico, che spesso distrugge il progetto di essere genitori.

 

Tratto da : “L’Ostetrica e l’Hospice Perinatale: una proposta di collaborazione tra le due realtà a sostegno delle famiglie”(2015), di Botta Alessia. Tesi di laurea in Ostetricia. Università Politecnica delle Marche. Facoltà di Medicina e Chirurgia. Con la supervisione del Prof. Giuseppe Noia.

 

La vita e la scienza. News

Share/Save/Bookmark back to top

Via Francesco Albergotti, 16 - 00167 Roma - P. IVA/C.F.: 13470371009

Questo sito non rappresenta una testata giornalistica in quanto viene aggiornato senza alcuna periodicità.
Non può pertanto considerarsi un prodotto editoriale ai sensi della legge n.62 del 2001.
Gli autori non hanno alcuna responsabilità per quanto riguarda i siti ai quali è possibile accedere
tramite eventuali collegamenti, posti all’interno del sito stesso, forniti come semplice servizio a coloro che visitano il sito.
Lo stesso dicasi per i siti che eventualmente forniscano dei link alle risorse qui contenute.

Copyright 2016 - Tutti i diritti riservati

Politica dei Cookie | Note Legali | Disclaimer |Web Mail | Mappa del Sito                                                          Fondazione Onlus "Il Cuore in una Goccia" © - Tutti i diritti riservati - Powered by 

 

Il presente sito fa uso di cookie che consentono di fornire una migliore esperienza di navigazione