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La Vita e la Scienza

Counselling postdiagnostico

Nell’ambito del counselling, la fase postdiagnostica è quella più drammatica. Quando il risultato di un test diagnostico conferma la presenza di una patologia, la paura di avere un bambino malato diventa la “cruda” realtà e dubbi dolorosi cominciano a serpeggiare nella mente della donna o della coppia.

Già all’inizio della gravidanza si comincia a fantasticare sull’aspetto del proprio bambino, sulle sue capacità, su quanto gli si può offrire: il risultato della diagnosi prenatale presenta, invece, una realtà diversa e il bambino con le sue anomalie cromosomiche e le sue malformazioni sembra “deludere” attese, progetti e desideri. Si delinea, così, una situazione di perdita, di lutto, che chiede di essere elaborato. Dopo la prima reazione di shock e di dolore, da cui possono scaturire sensi di colpa e rabbia, si arriva – se adeguatamente accompagnati – all’accettazione e all’elaborazione di un progetto.

“Adeguatamente accompagnati”: è proprio questo il ruolo del medico nel counselling postdiagnostico, che ha le caratteristiche di una vera e propria relazione di aiuto. Il medico non può, allora, né abbandonare la donna o la coppia né imporre la propria scelta, ma deve rassicurarla, fornendo tutte le informazioni sulla patologia, sulla sua evoluzione, sulle possibili terapie e assistenza.

Non è, certamente, facile comunicare e al medico sono richieste qualità che vanno al di là della preparazione tecnica: comprensione, comunicativa empatica, condivisione della sofferenza, capacità di lasciare spazio per l’ascolto e per il dialogo.

Spesso si assiste, però, alla comunicazione di una verità meramente diagnostica e prognostica, che non tiene conto né della totalità del nascituro né della sensibilità dei genitori. Eppure dovrebbe essere chiaro che la verità della medicina è ben diversa dalle altre forme di verità; è una verità che va offerta solo dopo aver preparato gli altri a riceverla; è una verità da collocare all’interno di una verità esistenziale, la quale sa dare sempre valore all’esistenza e alle sue dure evenienze; è una verità che deve essere sempre aperta alla speranza, perché non solo è più grande di ogni eventuale patologia, ma anche della stessa vita della singola persona.

Così inteso, il counselling assume i caratteri di correttezza deontologica e di accettabilità etica, sia perché fornisce alla donna o alla coppia un panorama completo ed esauriente dei vari aspetti di una realtà complessa e difficile, sia perché consente al consulente di mantenere un giusto equilibrio fra gli interessi della madre e quelli del feto. Oltre al controllo della propria comunicazione in funzione di obiettivi chiari e graduali e di tutti i canali comunicativi (parole, atteggiamenti e gesti), al consulente si chiede anche la consapevolezza delle proprie reazioni emotive, al fine di controllare eventuali reazioni di competitività con la donna o con la coppia o il desiderio di far valere ad ogni costo la propria superiorità o di veder riconosciuta la propria competenza.

  

Tratto da “Terapie Fetali”, (Noia G.) - 2009

 

                  

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