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L'amniocentesi

L'amniocentesi
 
 
Che cos’è

È un esame che, attraverso il prelievo di liquido amniotico dalla cavità uterina, permette di ottenere campioni biologici al fine di effettuare una diagnosi prenatale.  Il liquido amniotico, infatti, contiene delle cellule che provengono dal feto, gli amniociti, utilizzate in laboratorio per effettuare analisi citogenetiche e/o molecolari.

Essa, però, ha anche importanti utilizzazioni terapeutiche.

 

Quando si esegue

Normalmente l’amniocentesi viene eseguita a partire dalla fine della 15 settimana di gravidanza, quando la cavità amniotica ha una dimensione tale da far sì che l’esame risulti meno rischioso per il feto. Più nello specifico, è possibile distinguere un’amniocentesi precoce (dalla 16 alla 18) e un’amniocentesi tardiva (dopo la 20) che può avere, però, finalità diverse dall’analisi genetica. Esiste anche l’amniocentesi precocissima, effettuabile tra la 13ª e la 15ª settimana che dati di letteratura sconsigliano per il rischio elevato di perdita fetale (5%).

 
 

Cosa consente di indagare

L’amniocentesi:

-          Permette di valutare il cariotipo, cioè l’assetto dei cromosomi del feto, per evidenziare eventuali anomalie cromosomiche.

-          Rivelare eventuali malattie metaboliche attraverso dosaggi enzimatici.

-    Confermare, dopo diagnosi ecografica, anomalie di sviluppo del tubo neurale (spina bifida, encefalocele, mielomeningocele) con il dosaggio delle alfa feto proteina nel liquido amniotico.

 

A chi e quando viene consigliata:

-          Donne di età superiore a 35 anni

-          In caso di aumentato spessore della translucenza nucale (liquido presente nella nuca del feto utilizzato, nel corso delle indagini ecografiche, come indicatore di malattie cromosomiche o malformazioni del feto).

-          In caso di anomalie evidenziate dall’ecografia.

-          Test combinato positivo

-          Casi di precedenti figli affetti da anomalia cromosomica.

-          Genitori portatori di anomalie cromosomiche o malattie genetiche.

-    Malattie infettive durante la gravidanza (citomegalovirus, rosolia, toxoplasmosi ecc.) per verificare se l’infezione ha oltrepassato la placenta e raggiunto il feto e contaminato il liquido amniotico.

-          Infiammazioni endoamniotiche.

 

Come viene eseguita

Dopo aver effettuato la disinfezione della cuteamnio addominale e avere escluso, precedentemente, infezioni batteriche o virali, sotto costante guida ecografica, si inserisce un sottilissimo ago attraverso la cute per raggiungere la cavità amniotica e prelevare circa 15 ml di liquido. L’esame non è doloroso, dura pochi minuti e non richiede ricovero ospedaliero o anestesie.

Al termine dell’esame, solitamente viene richiesto alla paziente di rimanere nel centro per 30/60 minuti.

Nei 2/3 giorni successivi è opportuno astenersi dalle attività fisiche pesanti e in caso si manifestassero dolori addominali, febbre o perdite, occorre informare immediatamente il medico.

 

Il rischio

Essendo l’amniocentesi una procedura invasiva comporta una certa percentuale di rischio che però, secondo l’opinione prevalente, viene diminuita, dalla presenza di personale medico specializzato, e con discreta esperienza. Gli ultimi studi, in proposito, indicano il rischio di aborto, nei centri specializzati, nella percentuale dello 0,06%.

Il rischio di abortività riguarda essenzialmente lo sviluppo di amniotite (cioè l’infezione del liquido amniotico), la rottura delle membrane e la comparsa di attività contrattile non controllabile con la terapia medica.

L’amniocentesi non è un esame di routine, nel senso che viene effettuato solo su pazienti a rischio e consenzienti.

 

I risultati

L’attendibilità dell’esame è quasi assoluta. I casi di errori o di fallimenti nelle procedure di laboratorio tali da richiedere una ripetizione dell’esame, sono estremamente rari (<0,2%).

 
 

L’uso dell’amniocentesi a scopo terapeutico

 

L’amniocentesi, come procedura diagnostica e terapeutica, dopo le 17 settimane può essere effettuata in:

a)     Casi sospetti di agenesia renale bilaterale con assenza di liquido amniotico. In tal caso la procedura si definisce Amnioinfusione Diagnostica perché la puntura della membrana amniotica viene seguita dall’infusione di 150-200 ml di soluzione salina riscaldata al fine di valutare la presenza dei reni e il riempimento gastrico e vescicale.

Accompagnata dal Test al Lasix (diuretico somministrato alla madre) e dall’esame con il Color-Doppler per visualizzare le arterie renali, ha un’alta specificità diagnostica dell’anagesia renale bilaterale.

b)     In caso di rottura precoce delle membrane (P-PROM post amniocentesi o dopo infezione endoamniotica), in assenza di segni attuali di infezione, si può procedere ad Amnioinfusione Terapeutica: essa consiste nella infusione di 150-200 ml di soluzione fisiologica riscaldata per favorire la deglutizione e urinazione del feto. La finalità è di ottimizzare la formazione dei Pneumociti di II tipo del polmone fetale durante la fase canalicolare delle strutture polmonari. Tale procedura terapeutica ha migliorato la sopravvivenza dei bambini che è passata, in 25 anni, dal 27 al 53%.

c)      L’approccio con amniocentesi si è rivelato utile anche nei casi di gozzo ipotiroideo fetale a grave rischio di ritardo mentale. L’Amnioinfuzione terapeutica di Tiroxina (ormone tiroideo) ha permesso di monitorizzare la scomparsa del gozzo ipotiroideo fetale entro 2 settimane, con normalità degli indici tiroidei alla nascita.

d)     Sempre con l’amniocentesi, si può effettuare anche l’Amnioriduzione Terapeutica, cioè l’aspirazione di quantità di liquido amniotico fino a 1 litro per volta, quando per l’eccesso di liquido amniotico, aumenterebbe il rischio di rottura delle membrane, ridurrebbe lo scambio di ossigeno a livello placentale e aumenterebbe il discomfort respiratorio della madre per l’aumento del volume uterino.

Anche in questo caso il successo terapeutico passa dal 12 al 42%.

L’amniocentesi, quindi, può essere usata sia come diagnosi che come terapia.

 

Il Professore ci spiega ...
a cura del Prof. Giuseppe Noia
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